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I cinque gradi della maturità affettiva

MORALE SESSUALE

(d.S.O.)


Questo di stasera è uno degli incontri di preparazione al prossimo corso prematrimoniale, che è in programma qui in S. Bartolomeo nel settembre-ottobre di quest’anno [...]
Questa sera, però, vorremmo mettere a fuoco un tema che è presente all’interno di tutto il corso, ma che non è stato individuato come un'unica unità, nel tentativo di rispondere alla domanda se vale la pena di affrontarlo in modo esplicito.
È, come sapete, la morale sessuale, che, ovviamente, attraversa tutti i discorsi delle sei serate ma che non viene mai affrontato esplicitamente.
[...] Quello che ho provato a mettere insieme è una tipica riflessione morale, anche per caratterizzare questo incontro che si distingue da tutti gli altri; solitamente abbiamo iniziato da un testo della Scrittura che certamente è una sorgente ricchissima, ma questa sera vorrei [...] provare ad impostare "scientificamente" un discorso morale e per questo vi chiedo poi una verifica non solo sui contenuti ma anche sull’impostazione del discorso.

Faccio una prima fondamentale affermazione, che, in qualche modo, vuole essere la sintesi di tutto: la morale della sessualità è semplicissima da conoscere, capire, praticare.
Ha bisogno solo di una cosa: di sapere che cos’è la sessualità
.
Se sappiamo che cos’è la sessualità abbiamo già fatto tutto, il nostro tema è già svolto e sappiamo già tutte le indicazioni necessarie per la gestione morale della nostra sessualità.

Ovviamente questo è il punto: che cos’è la sessualità?
Prima di dire che cos’è la sessualità, vorrei dire che cosa non è, a partire da quelle che sono le concezioni prevalenti della sessualità in quella che chiamiamo la “cultura diffusa”.
Sono temi amplissimi che riassumo attorno a due polarizzazioni.
Oggi la sessualità è considerata per un verso una “funzione biologica”, per un altro verso un “condizionamento culturale”.
Che cosa vuol dire?

  • La sessualità non è altro che una dinamica biologica, per cui qualcuno arrivava a dire, soprattutto alcuni anni fa, “avere un rapporto sessuale è come bere un bicchiere d’acqua“ cioè è la soddisfazione di un bisogno fisiologico; come non ci poniamo il problema “ho sete, bevo” non ci poniamo il problema “sento un impulso sessuale, lo soddisfo”.
    In fondo questa è la premessa, anche se in modo molto grossolano, di chi dice “liberiamo la sessualità”, “cosa sono questi tabù sessuali? Fruiamo liberamente con soddisfazione di questo impulso che è alla pari di qualunque altro bisogno, di qualunque altra funzione biologica”.
  • Al polo opposto c’è chi considera la sessualità un “condizionamento culturale” per cui non esiste una sessualità, ma uno se la inventa, uno decide di essere maschio o femmina, di comportarsi da maschio o da femmina: l’omosessualità e tutto quello che deriva, il riferimento genitale e biologico, è, in qualche modo, marginale; quello che viene enfatizzato è l’aspetto di una libera scelta, indipendentemente anche dal riferimento biologico, alla propria identità.
    È la cultura che pone dei tabù e noi vogliamo liberarci dai tabù per cui a me non interessa che corpo ho, io mi sento o maschio o femmina, secondo le mie scelte culturali.
Mi sembra si capisca bene che queste due idee di sessualità sono una l’opposto dell’altra, una che assolutizza il dato biologico, l’altra che lo relativizza fino a negarlo.
Mi sembra sia altrettanto evidente che questi due filoni oggi si sovrappongono senza neppure rendersi conto della loro contraddittorietà intrinseca; oggi si vive e la sessualità come funzione e la sessualità come condizionamento culturale, alla fine senza più saper rispondere a questa unica domanda: che cos’è la sessualità?
Ritengo che la incapacità di rispondere sia un fatto diffuso anche in ambienti strettamente cristiani, cattolici, ecclesiali.
È una constatazione che trova verifiche molto frequenti: il prendere atto che anche fra gente credente e praticante (penso ai nostri catechisti) la gestione dalla sessualità non si distingue, tipo i rapporti prematrimoniali, le convivenze; tutto sommato il costume sessuale è uniforme sia dentro che fuori la comunità cristiana.
Alla radice c'è proprio questo: “ma che cos’è la sessualità?”, “ma perché ci sono delle regole sessuali?", " ma chi ce l’ha detto?”, “perché i preti si azzardano a dare delle indicazioni? Cosa c’entrano loro che non se ne intendono”.
Proprio tenendo conto di questa situazione di grande confusione, vorrei proporre una pista per arrivare a rispondere che cos'è la sessualità.
Certamente la sessualità è l’uno e l’altro di questi aspetti, la sessualità non può non fare riferimento alla genitalità, al nostro corpo, però è anche vero che la sessualità non può non fare riferimento alle nostre scelte, ai nostri condizionamenti culturali, alla nostra psicologia, per cui se anche contestiamo queste assolutizzazioni, dobbiamo coglierne l’aspetto positivo dell’una e dell’altra, anzi, vorrei proprio dire che la sessualità non solo è e l’uno e l’altro, ma la sessualità, in qualche modo, non si può distinguere dalla totalità degli aspetti e delle dinamiche personali.
Cercando di anticipare quello che proverò dopo a presentare argomentando, ritengo che si debba arrivare a dire che la sessualità non è altro che l'espressione, l’identità storica della persona.
Tutta la persona è connotata dalla sessualità.
Uno non può rispondere alla domanda fondamentale “chi sono io” se non dando come primo riferimento la propria sessualità: “io sono un uomo, io sono una donna”, perché questa dimensione attraversa non solo tutta la fisiologia (oggi queste cose sono addirittura sperimentali, basta un’unghia per capire se è di un uomo o di una donna, quanti anni ha), la sessualità caratterizza non solo tutta la biologia per cui anche la più piccola cellula del corpo umano è una cellula sessuata, DNA e tutti i cromosomi, ma anche tutta l’estensione cronologica della nostra vita è caratterizzata da questa dinamica; per cui per dare una prima risposta a “che cos’è la sessualità” in fondo bisogna dare una risposta a “che cos’è la persona”.
Se non si coglie in questa dimensione complessiva rischiamo di estrapolare la sessualità dalla persona, cioè di ridurla a genitali, o di ridurla a cultura, non si capisce la sessualità se non come dimensione della persona.
Qui provo a coinvolgervi un po’ per dire: mi piacerebbe sapere che cosa vi viene in mente quando vi si chiede “che cos’è una persona?” o magari in termini un po’ più proditori, “che cos’è un uomo?”, anche solo per cercare focalizzare l’immagine che emerge, perché quando si pensa all’uomo la maggior parte di noi, se non proprio tutti tutti, pensiamo a un maschio, grosso modo trentacinquenne, con i pantaloni; cioè noi abbiamo decisamente un condizionamento culturale maschilista, un’astrazione atemporale, e un condizionamento geografico europeista, mentre non è vero niente.
C’è l’uomo, intanto è uomo e donna, ma c’è il bambino, giovane, adulto, vecchio.
Non si può cogliere la persona se non in un contesto di continuo divenire cronologico, culturale, fisiologico ecc.
E finalmente siamo arrivati al punto.
A partire da queste premesse elementari, possiamo azzardarci ad avviare un discorso sulla sessualità: la sessualità è questa dinamica per diventare persona in tutte le sue dimensioni e fisiologiche e culturali e psicologiche, ma anche spirituali.


Ed è proprio questo il succo a cui fa riferimento quel cartellone lì, che un cartellone preso da un corso di sessualità fatto ai ragazzi delle scuole medie e che ho tenuto perché in fondo c’è tutto.
È diviso in cinque fasi, in cinque tappe che, ovviamente, non sono camere stagne, c’è un continuo flusso, ma che ritengo importantissimo focalizzare proprio in questi cinque passaggi fondamentali (con i bambini spiegavo che i numeri erano digitali, che c'è una divisione cronologica ma anche una linea verticale).
Vorrei invitarvi a ripercorrere questo itinerario, sia per ricordare quello che è successo a noi ma anche per poter mettere a fuoco eventuali buchi, eventuali carenze perché queste avranno poi un peso, non dico determinante in quanto c’è sempre in mezzo la libertà dell’uomo, ma segneranno in modo permanente non solo la nostra sessualità, ma anche la nostra esistenza.
Quando inizia la sessualità?
A fare questa domanda ai bambini si hanno le risposte più diverse; ma non si può non dire che inizia subito, cioè al concepimento, non solo perché si è immediatamente caratterizzati in senso maschile e femminile, ma anche perché si instaura un dialogo che modifica se stessi e modifica l’altro, un dialogo di tipo fisiologico ma anche di tipo psicologico-affettivo.
  1. Questa prima fase inizia dal concepimento, prima ancora della nascita, e ha come immagine caratterizzante il rapporto della mamma con il bambino, perché è già da questa primissimo momento che si costruisce la persona e si costruisce la sessualità non solo in senso biologico ma anche in senso affettivo.

    Tutti sappiamo quanto importante sia la gravidanza non solo per la mamma ma per il bambino: il bambino sarà sereno se la gravidanza è stata serena, sarà agitato, nervoso se la mamma durante la gravidanza è stata nervosa.
    La presenza del bambino trasforma il corpo della mamma con questa meraviglia che è il vedere questo corpicino che cresce e sappiamo che non c’è interruzione di continuità al momento della nascita perché se anche questo bambino è fuori, in fondo continua a dipendere in tutto dalla mamma.
    A me ha sempre fatto pensare il fatto che la mamma è capace di produrre il latte, è un’azienda chimicoalimentare straordinaria: questo è il primo momento da mettere a fuoco.
    In questa prima fase il rapporto madre-figlio è caratterizzato dalla modalità della totale dipendenza del bambino dalla madre e l’amore, a questo punto, significa che la madre deve fare tutto e che il bambino può pretendere tutto; e va bene quando c’è questo rapporto.
    Posso già anticipare che il risultato sarà il passaggio da questa totale dipendenza alla totale libertà; la sessualità si porrà come questa dinamica che conduce alla capacità di donare sé stessi nella libertà.
    Però è necessario che ci sia una prima fase che è di dipendenza da una parte e di pretesa e di totale "asservimento" fisiologico e psicologico dall'altra.
    In questa fase la presenza del maschio non è “superflua”; sappiamo quanto sia significativa per gli sviluppi futuri: una carenza della madre o del padre anche nell’identità sessuale culturalmente intesa è significativa.
  2. La dipendenza, che è il segno dell’amore in questa prima fase, deve finire per lasciare il posto ad una seconda fase che grosso modo è l’infanzia, che ha come tipica espressione l’amicizia tra coetanei.

    Che caratteristiche ha questa fase?
    Quella della scoperta dell’autonomia dai genitori per una nuova modalità di rapporto.
    Anche questa, pur se qualche psicologo la indica come età della latenza, è decisamente connaturata dall’aspetto sessuale, dove i maschi vanno con i maschi e le femmine con le femmine e tutto il mondo è diviso; ci sono i giochi dei maschi e ci sono i giochi delle femmine, ci sono i colori dei maschi e ci sono i colori delle femmine.
    Anche questo è importantissimo: la scoperta di un'amicizia con i coetanei, con gli eguali, che arriva anche ad essere complicità e segna il passaggio fra la prima fase e la seconda.
    Ma anche questo meraviglioso rapporto di amicizia, che tutti noi ricordiamo come caratterizzante una bellissima stagione della nostra esistenza, finisce, deve finire, non solo perché passa il tempo ma perché il nostro corpo si trasforma.
    È la crisi della pubertà: sia il ragazzo che la ragazza si vedono trasformare il loro corpo senza che siano loro a deciderlo, per cui succedono delle cose che non sono loro a causare. Questo provoca un nuovo rapporto fra se stessi e il proprio corpo perché, mentre per i bambini tutto sommato c'è sicurezza nell'esibire il loro corpo, negli adolescenti, a causa di questa non possibilità di gestire attraverso la volontà il proprio corpo, diventa più problematico. I bambini non si vergognano a fare una recita per Natale, più diventano grandi più hanno problemi; per me una cosa interessantissima è diventare rossi, che fa venire una rabbia da morire perché diventi rosso proprio nel momento in cui sei davanti al pubblico. Al di là di queste cose, tutto sommato secondarie, non sei più padrone del tuo corpo, ci sono delle reazioni che non dipendono dalla volontà e queste cose rendono curiosi verso il proprio corpo e verso il corpo dell'altro ma anche timorosi.
  3. È la terza fase che interrompe questo rapporto sereno con gli uguali per aprirsi ad un rapporto avventuroso con il diverso da cui si è attratti ma insieme impauriti: credo che ci ricordiamo tutti questa fase in cui si è ancora tra maschi ma si parla di femmine, si è ancora tra maschi ma si guardano i giornalacci e, viceversa, si è ancora fra ragazze e si chiacchiera di ragazzi: è la tipica stagione in cui si ha desiderio dell'incontro con l'altro sesso, ma è ancora un desiderio generico.

    Vengono in mente quelle feste (ed anche i gruppi parrocchiali non fanno eccezione) in cui se ci sono delle ragazze tutto va bene, qualunque esse siano e viceversa.
    C'è questa curiosità e insieme incapacità di un rapporto diretto.
  4. Anche questa è una fase bellissima perché è la fase della scoperta della diversità, una diversità attraente, ma anche questa fase si deve superare e si supera quando si diventa finalmente capaci di un rapporto personale, non con le donne in genere ma con "una" donna.

    Si diventa capaci sia perché col passare del tempo il proprio corpo cresce, ma per questo è necessario che cresca complessivamente il proprio essere e penso, in particolare, a quando ci si deve “dichiarare”, non è solo un problema di prestanza sessuale, è anche un problema di stima culturale; è rischioso dichiararsi perché l'altro può dire: a me non interessi proprio niente o c'è un altro che mi interessa più di te; se uno non ha maturato anche un'autostima sufficiente non arriverà a dichiararsi, arriverà a guardare da lontano, magari a guardare le donne sui giornalacci o per televisione, che è esattamente il segno dell'incapacità dell'incontro perché è segno della disistima di sé stesso, dell'incapacità di accettare una possibile frustrazione.
    Sappiamo quanto sia bella la possibilità di incontrarsi lui e lei per fare coppia: sembra che tutto il mondo si concentri in questo rapporto e di sopra è l'isola felice, appunto c'è "lui - lei" ed il resto sparisce.
    Credo davvero che questa sia una delle esperienze più belle che ci possano essere nella vita dell'uomo: l'esperienza dell'innamoramento corrisposto.
    Però anche questa fase non solo finisce ma deve finire, cioè occorre superare questa chiusura per aprirsi ad una dimensione, in fondo, universale perché c'è il rischio che questa gioia del bastare a sé stessi in realtà racchiuda un terribile inganno, cioè racchiuda la eliminazione di tutte le altre dimensioni.
    Penso al ragazzo che dice: "a me piace andare a giocare al pallone" e lei dice "no, la domenica pomeriggio vieni con me, il pallone non lo guardi neanche per televisione, perché io ti basto". O, viceversa, lei che dice "a me piaceva passare il pomeriggio a chiacchierare con le mie amiche" e lui dice: "le tue amiche sono tutte racchie, andiamo via che non c'è nessun'altra".
    Questa diventa una chiusura che rischia di essere insopportabile; dire "io e te e nessun altro" non è segno di pienezza d'amore, è segno di chiusura e di limite.
  5. Allora occorre superare anche questa fase non per aggiungere altri interessi, al contrario, per capire che voler bene all'altro significa voler bene a tutto il mondo, perché l'altro non è solo il suo corpo ma è, per esempio, le sue amicizie, l'altro è la sua famiglia, l'altro è i suoi progetti per il futuro.

    Ed in fondo uno non mi vuole bene se mi dice "io vengo da te ma la tua famiglia proprio non mi interessa" perché io sono un mondo, non sono solo il mio corpo, la mia genitalità.
    Allora davvero si scopre che volere l'altro è aprirsi a questo universo, in senso spaziale ma in senso anche temporale, cioè aprirsi all'altro per sempre in senso progettuale: “i tuoi progetti sono i miei progetti, io non ti voglio bene se non ti aiuto a realizzare il progetto che tu sei”.
    Ed è quello il momento in cui la massima unione "io e te" significa contemporaneamente la massima apertura "io, te e il mondo" ed è quello esattamente il momento in cui il figlio ha ragione di essere, perché io e te non sento il mondo come estraneo ma sento l'altro come espressione della unione più profonda, di questo accogliere in te il mondo intero.
    In fondo questa è la fase matura non solo della sessualità ma di tutta la persona, della progettualità di una persona, vorrei anche dire della politica della professione perché quando uno coglie se stesso e l'altro inseriti in questo contesto che non è alternativo ma che il bene dell'altro diventa il bene di tutti.

Detto questo, anche se non sembra, ho detto tutto e se questa descrizione corrisponde all'esperienza che abbiamo fatto vi invito a ripensarla per dire "ma cosa c'entra con la morale sessuale?"

C'entra perché proprio questa traiettoria indica esattamente una dinamica che ha una meta, questa meta è una massima unione che coincide con la massima apertura, la massima unione che coincide con il massimo dono e la massima capacità di accoglienza.
Tra la prima e l'ultima fase c'è proprio questo capovolgimento; se all'inizio c'è un rapporto di dipendenza e di pretesa, alla fine c'è questo rapporto di dono e di accoglienza.
E solo se si raggiunge questa meta si può dire di aver raggiunto la maturità della persona, della sessualità, ma in qualche modo anche la maturità sociale non solo personale.
Questo viene verificato dal constatare quello che succede quando questa dinamica invece di andare diritto, nell'ordine dovuto (e tenete in mente questa parola che è uno dei grandi concetti di tutta la tradizione morale: "l'ordine sessuale"), devia o si blocca perché avvengono quelle che si possono definire devianze sessuali.

Le devianze sessuali non sono altro che blocchi o andare fuori strada, cioè non seguire questo ordine.
Ripartendo da capo, nel rapporto madre-bambino uno può pretendere che siano gli altri ad intervenire "mi metto a piangere perché so che la mamma viene, mi da il latte, mi pulisce" però questo deve finire, se non finisce è un segno di patologia perché significa che o questo bambino è ammalato ed ha ancora bisogno che la mamma lo imbocchi e che lo porti in braccio su una carrozzina, o può essere un segno di patologia della mamma iperpossessiva per cui a venti anni è ancora lei che sceglie le calze che si deve mettere la mattina.
Che cosa succede allora? Succede che se uno continua a coltivare l'idea che sono gli altri che devono intervenire quando qualcosa va male, la sessualità si blocca proprio a questa fase e la manifestazione di questo è la masturbazione; cioè un tentativo di autogratificarsi contestando il mondo brutto e cattivo.
Sarebbero gli altri a doverlo fare, non lo fanno ed io mi chiudo in me stesso.
Questo ci aiuta anche a cogliere il significato di questo primo iniziale blocco, che arriva ad essere una devianza, ma che è prima di tutto un sintomo di una mancata crescita, di un mancato rapporto.

A questo punto possiamo cogliere anche l'idea di peccato, ma prima di tutto è da cogliere come un cammino interrotto, come il sintomo di una carenza.
Nella valutazione di un disordine sessuale è molto importante dire "a che età succede?". Perché un conto è la masturbazione a quattordici anni, un conto a trentacinque, quando magari si è già sposati, perché può essere un ritardo o può essere proprio una deviazione o un blocco totale, cioè lo stesso comportamento deve essere collocato anche temporalmente e assume valenze diverse.
Allora quando si riesce a superare questo? Quando si riesce a capire che è bello avere degli amici e non stare sempre attaccato alla sottana della mamma si fa un passo in avanti, che è appunto quello dell'amicizia fra coetanei.
Questa meravigliosa fase, che tutti ricordiamo per fortuna, ha bisogno anch'essa di essere superata perché ci può essere un blocco anche in questa.
Io sperimento di stare tanto bene con chi è uguale a me che non voglio affrontare il diverso; che cosa succede? Succede, appunto, l'omosessualità, succede la paura del diverso.
Io sono convinto che l'esplodere, ai nostri giorni, dell'omosessualità sia un segno di questa adolescenza che non passa; è un segno non solo di un blocco sessuale, ma anche culturale.
Io ritengo che si possa stabilire un deciso collegamento fra omosessualità e razzismo, perché il razzismo è la paura del diverso, è dire “io sto bene con chi la pensa come me, con chi ha la mia cultura, la mia razza, la mia lingua”; ma questo ha anche una dimensione religiosa.
Penso ai gruppi parrocchiali dove è tipico a questa età (ho presente i campi scuola in un gruppo di uguali, cioè di gente della parrocchia).
Quando si va ad un Campo si dicono Lodi, Vespri, Messa, Compieta, perché insieme è bello; quando uno è da solo in classe ha paura anche di farsi il segno della Croce, ha paura di dire "vado a Messa la domenica" perché ha paura di presentare una identità diversa.
L'omosessualità è quello, è una identità che sperimenta la gratificazione degli uguali.
Mi sembra davvero importante sottolineare tutte queste dimensioni sessuali, politiche, religiose.
Certo è importantissimo avere delle forti esperienze identificanti: una amicizia maschio con maschio e femmina con femmina, una esperienza parrocchiale forte, ma è da spendere con il diverso se no ci si chiude, ci si chiude come nel razzismo, ci si chiude come in quelle comunità anche cristiane che dicono “come è bello stare insieme”; bisogna essere missionari sotto tutti i punti di vista.
Superando questa fase anche qui perché passano gli anni e perché ci si irrobustisce e come identità fisiologica (la crisi puberale) e come identità culturale (la stima di se stessi) ci si apre a quella terza fase cioè alla scoperta dell'altro come attraente, che però, se il cammino non continua, se si blocca a questa fase, la devianza sessuale prende la forma della incapacità ad avere un rapporto personale, a tu per tu, del voyerismo, della pornografia.
Io ritengo che la deviazione in questo non solo patologica ma anche perversa sia anche nella pederastia, (non pedofilia, non so perché si chiami pedofilia quando è pederastia!) cioè è questa pretesa di poter dominare l'altro, fino al limite di fare violenza sul minore.
Io ritengo che sia in linea con questa idea che uno si sente forte quando va a vedere i film proibiti (che adesso non sono più proibiti) e anche il rapporto di prostituzione: il don Giovanni pensa di essere emancipato sessualmente, ma in realtà è segno dell'incapacità dell'incontro vero con la persona, perché non sapendo creare un rapporto vero cambia partner per mancanza di autostima e di capacità di un approfondimento.
Anche questo mi fa dire: se uno dice "ho avuto tante donne" la prima cosa da dirgli è: poverino, devi crescere, sei rimasto bloccato a questa situazione.
Purtroppo adesso ci se ne fa un vanto, come ci si vanta dell'omosessualità, della esuberanza sessuale, che in realtà è l'espressione di questa adolescenza che non si sblocca.

Allora, superate tutte queste forme che possono essere di prostituzione fino a forme violente, se si riesce a fare il passo successivo nell'incontro a tu per tu, certamente è un passo in avanti ma anche qui bisogna andare ancora avanti.
Dire "io e te e nessun altro perché io e te bastiamo" non è la pienezza del rapporto, anche qui è una limitazione reciproca e sappiamo quanto, oggi, questo sia diffuso nelle convivenze, cioè non capire, “ma che bisogno c'è dirlo al sindaco, di dirlo al prete, che bisogno c'è della tua famiglia? Noi, senza neanche dirlo”.
Una convivenza che si chiama libera non è libera, è ricattatoria, perché non è affatto vero che non ci siano vincoli, ce ne sono molti di più, perché fino a quando dura lo stare insieme?
Fino a che tu vai bene a me. È la peggiore schiavitù, perché se tu non mi vai più bene?
E da qui viene l'angoscia, dire “mi è saltata fuori una ruga, gli piacerò ancora?”. Allora farò tutto quel che ti pare per essere ancora voluto dall'altro! Ed è davvero un terribile ricatto per cui questa "libera" convivenza è quella che impone i pesi più grandi.
La vera libertà si raggiunge quando ci si accoglie e ci si dona ed è questa ultima fase, o non andare oltre la libera convivenza, questo rapporto leggero che è quello che più disprezza l'altro perché lo considera in fondo solo una prestazione, non costruisce dei rapporti personali.
Il passo successivo, la vera libertà, si raggiunge quando ci si dona e ci si accoglie, perché è soltanto quando io sono sicuro che qualunque cosa succeda l'altro è la che mi aspetta; se mi ammalo mi viene a curare, se invecchio lui invecchia con me e sono davvero libero di cantare anche se sono stonato perché so che gli piaccio comunque, se no non posso esprimere me stesso perché posso “solo” se vado bene a lui.

Quello che è il vincolo più forte, questa decisione irrevocabile è la vera premessa della libertà; ed è questo il matrimonio; prima di ogni burocratizzazione, il matrimonio è l'aver raggiunto questa libertà che coincide con la totale accoglienza dell'altro e con il totale affidamento di sé all'altro.
E questo è l'inizio della famiglia, l'inizio anche della nuova vita dei figli in cui, non paradossalmente ma sperimentalmente, si congiungono libertà e responsabilità, dono e affidamento; è questo che ci permette di dire che cos'è la sessualità. La sessualità è questa “espressione della persona”, è questa “dinamica dell'amore” che permette di passare dalla dipendenza alla libertà, dalla pretesa al dono.

E questo è l'ordine sessuale: si cresce se si segue quest'ordine, ci si ferma o si devia se non si segue quest'ordine, dove “ordine” non è una realtà statica ma è una realtà dinamica, “ordinata a” (bisognerebbe prenderlo in latino), è ordinazione verso la capacità di donare e di accogliere.
E questa è la norma morale, la norma morale dice “cammina su questa strada”, la deviazione è ... l'ho già detto troppe volte.

A questo punto viene anche il peccato, il peccato è il deviare volontariamente da questo ordine ma è prima di tutto un danno a se stessi ed è un danno verso il Signore, non perché il Signore abbia stabilito delle leggi “se non fai così ti punisco”, ma perché il Signore ci vuole bene e vuole che, seguendo il retto ordine morale, raggiungiamo la pienezza della nostra sessualità ma anche di tutta la nostra personalità.
Il fatto che la Chiesa abbia esplicitato l'ordine morale e individui delle norme morali non è una imposizione di una autorità che ha la fobia del sesso ma, al contrario, è l'aiuto in fondo più prezioso perché possiamo davvero fare un passo dietro l'altro nella direzione giusta.
Per cui la morale sessuale è una morale tutta naturale, che è intrinseca alla persona stessa, che viene esplicitata dalla Chiesa come servizio alla persona, perché possa, senza deviazioni, raggiungere la pienezza della libertà che è la porta dell'amore per cui non sono i preti che stabiliscono le norme morali, non è il Papa, ma è la persona stessa, cioè è questa dinamica intrinseca alla persona, la cui conoscenza ci aiuta a camminare senza errori, ci aiuta a sostenere la nostra libertà e a diventare sempre più capaci di amare.


don Stefano Ottani
(selezione del testo deregistrato da M.&G. M. e rivisto dall'autore)

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Pagina pubblicata il 18 ottobre 2001