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Incontro con Elsa Belotti

Giobbe e le nostre sofferenze




5. COME INTERVIENE DIO (prima storiella)

La prima [storiella] è: Il sacrificio di Isacco e il custode di Brisk.
Si narra che i capi della comunità fossero insoddisfatti dell'opera del custode del tribunale rabbinico di Rabbi Yoshe-Ber, a Brisk. Tennero consiglio e decisero di licenziarlo. Poi affidarono il compito di destituirlo a Rabbi Yoshe-Ber, ma questi si rifiutò.
«Perché no, Rabbi?» chiesero i capi della comunità. «Tu sei il rabbino e lui è un tuo dipendente».
«Vi dirò», rispose Rabbi Yoshe-Ber. «Poiché leggete e conoscete la storia del sacrificio di Isacco, sapete che quando il Santo Nome ordinò ad Abramo di sacrificare Isacco, troviamo scritto che Egli parlò come segue: "Prendi ora tuo figlio, il tuo unico figlio..." Ma quando ordinò ad Abramo di risparmiare Isacco, Dio, come è scritto. mandò un angelo. "E l'angelo chiamò Abramo..."
«Questo fa sorgere una domanda. Perché il Santo Nome non mandò un angelo fin dall'inizio? La risposta è che sapeva bene che nessun angelo avrebbe accettato il compito. Tutti avrebbero detto: "Se vuoi ordinare la morte, faresti meglio a farlo Tu stesso"».


Questa storiella ci dice due o tre cose.
La sofferenza ha radici in Dio, non ho detto che viene da Dio, non è Dio che ce le manda.
Perché a volte nel caso di ragazzi o di bambini morti si sente dire da buoni cristiani: "È il Signore che te l’ha tolto!". Bisognerebbe dir loro con forza: "Stai bestemmiando!" Dire ai genitori che Dio ha portato via i figli è una bestemmia! Come potrebbe Dio Padre portarci via i figli? Non so, è un’assurdità. Io stessa direi: "ma che me ne faccio di un dio padre così?". Lo rifiuterei. (Cfr Associazione «Figli in cielo»).

La sofferenza ha radici in Dio ma non ci viene da Dio.

Per capire come si comporta Dio con noi, può valere la pena riprendere un esempio che ho già fatto tante volte. Basta far riferimento alla nostra esperienza di genitori.
Se noi andiamo al parco-giochi con un bambino ed il bambino cade e si fa male, noi non possiamo aiutarlo. Perché o teniamo il bambino sempre in braccio, ma potremmo cadere noi, e comunque non è che possiamo far così con un bambino.
Non abbiamo potuto impedire che il bambino cadesse, però poi cosa facciamo? Prendiamo in braccio il bambino, lo coccoliamo, lo carezziamo, lo medichiamo, lo consoliamo. E Dio, che è Padre, non farà la stessa cosa?
Ci ha messo nel giardino e ci ha lasciati liberi di correre. Tante volte cadiamo e ci facciamo male anche in maniera pesante. Lui non ha potuto evitarlo, altrimenti farebbe il burattinaio. Però dopo che ci siamo fatti male, Lui interviene – e questa si chiama Provvidenza – a tirarci fuori del bene da quella sofferenza, a farci capire delle cose, a coccolarci, a consolarci e anche a medicarci. Ma interviene dopo, interviene sempre rispettando queste due cose:
  • la realtà umana, altrimenti farebbe il mago, e Dio non fa il mago;
  • la nostra libertà personale, altrimenti non sarebbe Dio.

Penso che questa spiegazione, anche molto semplicina, ci aiuti a capire come interviene Dio. E siccome la fine del Libro di Giobbe sarà questa, ve la ripeterò un po’ di volte.
  • Prima ti conoscevo per sentito dire;
  • Ora i miei occhi ti hanno incontrato.

Prima avevo l’immaginetta sacra di Dio, adesso ti ho incontrato personalmente.
Cosa vuol dire? Noi tutti i giorni abbiamo ricevuto almeno trenta grazie, trenta miracoli, solo che non abbiamo avuto occhi per vederli; ma se avessimo occhi per vederli, avremmo visto i trenta miracoli: se non li vediamo non è mica per colpa di Dio! E non è neanche colpa nostra, dico solo che non siamo allenati a vederli… e potremmo stare qui ad elencarli. […] Migliaia ce ne sono, però non li vediamo!

Ripeto: la sofferenza ha radici in Dio ma non viene da Dio, viene dalla realtà umana.
Sennò siamo ancora i bambini che vogliono avere sempre il colpevolino dietro le spalle. Invece la persona adulta: "Vabbe’, è capitata a me questa cosa qui, tocca a me". E il momento in cui Gesù Cristo è veramente adulto qual è? Quando, dopo l’orto degli ulivi, dice: "Tocca a me!" (cfr Mc 14,36; Mt 26,39-42; Lc 22,42). Quello è il momento di maturità che viene seguito da un’altra frase: "Perché mi hai abbandonato?" (Cfr Mc 15,34; Mt 27,46). Che non vuol dire che non sente la presenza di Dio in quel momento, vuole dire: "Sono proprio solo in questa cosa qui, tocca proprio a me! Sono da solo."
Quella è la maturità.

Allora nessuno in paradiso vuole la sofferenza. Tanto meno Dio vuole la nostra sofferenza.
Dio interviene sempre dove può intervenire, sempre dove lo facciamo intervenire: se incominciamo a fare i bambini, a urlare, a bestemmiare, a dare la colpa agli altri e a scantonare dalla nostra sofferenza, evidentemente lì Lui non può entrare.

Dove abita Dio.

E c’è un’altra bella storiella ebraica. […] Non è ironica, ma è molto bella lo stesso.
Il Rebbe chiede ai suoi discepoli: "Dove abita Dio?"
E i discepoli: "Ma come? Con tutto quello che abbiamo imparato!"
Allora uno ad uno gli dicono: "Dio abita nell’universo.". … "Dio abita nelle persone." […]
E il Rebbe alla fine dice: "Non avete capito nulla. Dio abita dove lo si fa entrare"

Dio abita dove lo si fa entrare. Se lo facciamo entrare abita anche in noi. Ma se non lo facciamo entrare, non può entrare. Perché quella famosa immagine della porta che ha la maniglia solo dall’interno. Basta aprirgli. Lui non può aprire, perché la maniglia ce l’abbiamo noi.

Dio abita dove lo si fa entrare.

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Pagina pubblicata il 4 novembre 2002