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Un gabbiano che sta per spiccare il volo.
Pagine leggere, pagine da leggere.
Per sorridere.
Per riflettere.
Per approfondire.
dal Supplemento ad Avvenire del 23 dicembre 2001, n. 48 Anno V
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in questo sito:
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Ti amo ma non ti sposo
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Selezione di articoli di Avvenire sulla famiglia

SEPARATI, LA SPERANZA OLTRE IL FALLIMENTO
FORTI PER ACCOGLIERE
CHI È FERITO

Quando una coppia motivata e consapevole del proprio dono nuziale può accompagnare e soprattutto confrontarsi con chi, come i separati e i divorziati, ha visto dolorosamente dissolversi il suo progetto di famiglia

di Luciano Moia

«Ma cosa fa la Chiesa per i separati e per i divorziati? L’accoglienza, la misericordia, il conforto, l’accompagnamento. D’accordo. Tutto bene. Ma in concreto cosa fa? Come aiuta realmente queste persone a continuare il loro cammino di fede?» Sono domande che ricorrono spesso e che lasciano in sottofondo una convinzione più forte di qualsiasi tentativo di chiarimento. Escludendo dai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia chi vive in maniera disordinata il rapporto di coppia (non solo divorziati risposati quindi, ma anche chi si sposa solo civilmente, chi convive, chi da divorziato o da separato finisce per avventurarsi in altre storie) la Chiesa sarebbe colpevole di confinare queste persone in una sorta di marginalità pastorale e spirituale.

Non solo sacramenti vietati quindi, ma anche vita comunitaria sempre più difficoltosa, sospetti diffusi e pregiudizi duri a morire. Il tutto alimentato anche da una incapacità di progettare ipotesi concrete di accoglienza e di inserimento rispettose dell’esperienza e della dignità delle persone.

Il quadro viene solitamente completato con il suggerimento più ovvio e quasi scontato. Perché non “perdonare” separati e divorziati riammettendoli ai sacramenti ed alla vita comunitaria con tutte le normali prerogative degli altri fedeli? Perché non aprirsi a quell’atteggiamento di misericordia evangelica che dovrebbe sempre comunque coinvolgere tutti, senza distinzioni e classifiche, i figli dell’unico Dio? Quasi sempre a conforto di questo sbrigativo appello alla cancellazione delle “colpe matrimoniali” si ricordano i dati relativi al numero delle separazioni e dei divorzi. Impressionanti, senza dubbio.

Oltre 60 mila separazioni più 33 mila divorzi: fanno quasi 200 mila persone che ogni anno vedono disgregarsi i loro progetti di vita matrimoniale. Duecentomila persone – il dato dicono i ricercatori, è in lenta ma costante salita dall’inizio degli anni Novanta – che per la maggior parte finiranno per confrontarsi dolorosamente con le indicazioni del magistero e per guardare alla Chiesa non come madre ma come matrigna. Eppure, mai come in questo momento storico, la Chiesa nei confronti dei separati e dei divorziati si sta dimostrando non solo maestra ma anche madre premurosa e previdente.
È fin troppo evidente infatti che un atteggiamento di semplicismo assolutorio nei confronti delle situazioni matrimoniali difficili e irregolari finirebbe per ripercuotersi con effetti gravissimi sulla già fragile identità culturale e sociale del modello nuziale. ( Spieghiamo meglio: oggi tra le coppie regolarmente e felicemente sposate in Cristo, quelle pienamente consapevoli del proprio compito nella società e convinte della necessità di vedersi riconosciuto anche nella Chiesa quel ruolo di protagonismo ; pastorale che magistero e teologia hanno più volte teorizzato e motivato, sono purtroppo un esigua minoranza.


NELLE COMUNITÀ IL RUOLO DEI CONIUGI È MARGINALE

È un problema grave perché una coppia priva di una forte identità culturale sotto il profilo della coniugalità, impreparata a motivare verso se stessa e verso la società le ragioni della propria "nuzialità", rischia di non essere attrezzata per accogliere, per accompagnare e soprattutto per confrontarsi con chi, come i separati e i divorziati, ha smarrito completamente quelle ragioni. Anche la prassi pastorale non agevola lo sforzo di imprimere una forte specificità nuziale all'impegno delle coppie cristiane. In altri termini: oggi nella maggior parte delle nostre comunità il ruolo dei coniugi risulta tutto sommato marginale.

Eppure, al di là dei numerosi interventi del magistero e delle riflessioni teologiche, è stato proprio Giovanni Paolo Il, lo scorso 20 ottobre, in occasione dell'Incontro nazionale delle famiglie, a ribadire che, tra le vie della missione della Chiesa «la famiglia è la prima e la più importante; su di essa la Chiesa conta chiamandola ad essere un vero soggetto di evangelizzazione e di apostolato».

Ma come tradurre in concretezza l'auspicio del Papa e come trasformarlo in un' occasione di crescita per le coppie anche in chiave di nuova consapevolezza culturale e nuove opportunità pastorali?

E, in rapporto al delicato problema dei separati e dei divorziati, come offrire alle coppie la possibilità di costruirsi un'identità teologicamente robusta e comunque adeguata per un confronto che deve tradursi in una nuova e fattiva attenzione per chi vive queste situazioni di difficoltà? Nella "Lettera alle nostre famiglie", pubblicata nel settembre scorso, i vescovi lombardi affermano che separati e divorziati non devono «incontrare nelle nostre comunità cristiane solitudine, emarginazione, né tanto meno un giudizio che scoraggia e allontana chi ha bisogno di sentirsi in qualche modo compreso. Al contrario proseguono i vescovi lombardi -tutti abbiamo il dovere di impegnarci per alleviare queste sofferenze e per aiutare queste persone a fare scelte che sono secondo il Vangelo e che la Chiesa, in fedeltà al suo Signore, indica loro».

Da qui la richiesta allo Spirito Santo perché ispiri «gesti e segni profetici che rendano chiaro a tutti che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio». Anche per rispondere a queste sollecitazioni l'Ufficio nazionale Cei per la pastorale familiare si muove su due strade parallele. Da una parte rivitalizzare i corsi di preparazione al matrimonio, dall' altra ripensare la pastorale in parrocchia con la famiglia: passare cioè dalla famiglia come "settore" alla famiglia come "dimensione".


RIQUALIFICARE I PERCORSI DI FEDE

Il primo punto non ha bisogno di troppi: approfondimenti. Quanto più una coppia è preparata, motivata, consapevole delle implicazioni sociali e teologiche del sacramento del matrimonio, tanto più sarà attrezzata per rispondere alle tante incombenze, positive e negative, poste dalla vita reale. Esiste poi un'altra ragione che deve indurre a riqualificare in , maniera sostanziale i percorsi di fede per i fidanzati. Se presbiteri e coppie sposate sono i due polmoni attraverso i qua-li dève respirare una comunità, non è pensabile che per la preparazione all'ordine sacro si richiedano molti anni di studio e di riflessione, mentre per il matrimonio siano sufficienti, nella migliore delle ipotesi, una decina di incontri.

Il progetto "Parrocchia-Famiglia" presentato il mese scorso si propone invece di colmare la distanza esistente tra teologia e prassi per dare visibilità concreta alla famiglia come "soggetto pastorale".


UN'IPOTESI DI RINNOVAMENTO PASTORALE

Da qui l'avvio di un laboratorio sperimentale con una trentina di parrocchie in tutta Italia, per verificare,la possibilità di avviare un'ipotesi di rinnovamento pastorale che abbia al centro il sacramento del matrimonio. Se è vero infatti che la famiglia contiene, per dono di Dio e per stato naturale e soprannaturale, le coordinate del vivere comunitario (fratelli, sorelle, madri, padri, unità di sangue e di amore) non è possibile pensare di affrontare un tema così urgente e delicato come quello dei separati e dei divorziati, senza puntare sulla dimensione profetica del matrimonio. Anzi, proprio laddove il dono della coniugalità è stato travisato e infranto, serve soprattutto la testimonianza dell’amore fedele, dell'amore che è riflesso e simbolo dell'alleanza divina. Dell'amore pienamente consapevole del dono ricevuto e quindi disponibile e preparato per dialogare con chi porta nel cuore le ferite di un progetto deluso.

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