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Incontro con Elsa Belotti

Giobbe e le nostre sofferenze




2. COME REAGIAMO AL DOLORE

Di fronte alla sofferenza, quali sono i modi di reagire? Sono diversi.

  1. Il primo è quello di brontolare: penso che qui ci ritroviamo un po' tutti. E quando abbiamo una sofferenza, una prova, una crisi, la prima reazione istintiva è quella del brontolare.
    Il brontolare può essere anche una bellissima preghiera… dipende da come si brontola, naturalmente: c’è un modo di brontolare infantile e c’è un modo di brontolare adulto, ma può essere una bella preghiera.

  2. Un altro modo di reagire è quello di urlare. Uno alza la voce perché così esprime meglio le sue emozioni, e si sente meglio dopo.

  3. Un altro modo è quello di bestemmiare. È anche la bestemmia può essere una bella preghiera; però ci sono delle bestemmie che sono preghiera e preghiere che sono in realtà delle bestemmie.

  4. Un altro modo di reagire è quello di dare la colpa agli altri. Per cui. Per noi coppie, è facile dare la colpa al coniuge o dare la colpa al vicino, o ai genitori o a …una serie infinita di persone: i politici, i mass-media, i vicini di casa, il collega, il capo reparto, il capo ufficio… Diamo sempre la colpa a tutti.

  5. Quando poi non riusciamo a trovare un colpevole, ce la prendiamo con Dio…"che sicuramente è stato Lui"…
    Ma abbiamo bisogno di un colpevole, perché non accettiamo il rovescio che è fare la fatica di guardare noi stessi e cambiare noi stessi.
    Finché non troviamo il colpevole: "In fondo è colpa sua! Io sono a posto."

  6. Un altro modo di reagire alla sofferenza è chiedere aiuto a qualcuno, anche agli psicologi., per cui si crea un po' il meccanismo infantile magico: vado dallo psicologo, vado dal prete, vado da una persona che penso ne saprà più di me … "Lui mi aiuterà!". E in quel mi aiuterà c’è scritta – sottintesa – la pretesa molto infantile di pensare: "Lui mi troverà la soluzione, mi darà la pillolina indolore ed efficacissima che in breve tempo risolverà il problema." Ed anche qui la magia è pensare che un’altra persona possa risolvere il nostro problema scontandolo dalla fatica che possiamo fare solo noi.

  7. Un altro modo è quello di ammalarsi. C'è una sofferenza? Ci ammaliamo! E la malattia è la fuga più veloce e anche più a portata di mano. Perché ce la fabbrichiamo del tutto noi. Non dico che sia così per tutte le malattie, dico che, comunque, un po' ci aiutiamo a fabbricarcene. Abbiamo la predisposizione, magari ereditaria, però con le malattie, anche qui, evitiamo e scantoniamo dalla fatica di cambiare noi stessi: è meglio una malattia e con una malattia non possiamo fare più niente…
    L’esempio che faccio sempre è questo.
    È ovvio che in una coppia è sempre meglio la depressione che affrontare la separazione dal marito: quella depressione mi aiuta a scantonare da una cosa che io ritengo peggiore.
    E questa spiegazione può essere attribuita a qualsiasi malattia, tenendo conto che dobbiamo stare attenti dal guarire noi stessi e gli altri, perché il nostro inconscio sceglie la strada migliore che è quella del male minore o del bene relativo.[...] Quindi è meglio un tumore che affrontare una situazione difficilissima.
    Il caso che mi viene in mente è quello di una suocera che nel giro di due mesi si è fatta venire un tumore pur di non affrontare con il figlio il problema della separazione dalla moglie e del ritorno alla casa materna. La malattia è sempre a portata di mano ma si può anche morire pur di scantonare da una sofferenza e c’è il modo dire morire di crepacuore.

  8. Un altro modo di reagire è pregare, sicuramente è un buon modo, migliore di tutti gli altri. Qualche mese fa ho incontrato una signora depressa in forma acuta, non si alzava più neanche dal letto al mattino, ma quando è venuta da me stava meglio e mi ha detto: "Sa come ho risolto la mia depressione? Ho tirato fuori il rosario dalla borsa e – ha detto – l’ho risolta così". […]

  9. Un altro modo di reagire di fronte alla sofferenza è quello di fare del male agli altri. L’ho aggiunta per ultima perché la cronaca quotidianamente ci mette di fronte ad esempi di questo genere. Certamente le mamme che ammazzano i propri figli rientrano in questa categoria: una sofferenza mia la butto su un altro; facendo io il male all’altro, inconsciamente, è come se io mi liberassi del mio male, lo tirassi fuori di me e lo buttassi su un’altra persona, in qualche caso un bambino. Già, perché è più facile con i bambini , perché sono impotenti, ma soprattutto perché è la mia bambina che sta male e quindi butto sul bambino la mia sofferenza. Questo è il nostro modo di reagire.

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Pagina pubblicata il 4 ottobre 2002